Lars e una ragazza tutta sua
Finito di vedere il film, viene da chiedersi: come è possibile che una comunità fatta da persone così brave e buone, così gentili e compassionevoli, così generose e altruiste, generi un asociale fragile, complessato e psichicamente ustionato come il protagonista del film? I peggiori dispetti che i componenti della comunità rappresentata arrivano a farsi sono a livello di orsacchiotti di peluche o soldatini da collezione che i colleghi in ufficio si fanno reciprocamente sparire - restituendoli e chiedendo scusa subito dopo. E tutti loro – a parte qualche mugugno iniziale – accettano il gioco che la bambola di gomma a grandezza naturale sia la reale ragazza di Lars, al punto da affezionarsi e piangere a calde lacrime quando quella – sempre nella fantasia di Lars - sta male, muore, ne viene celebrato il funerale. Tutte vicende e situazioni evidentemente al limite – e oltre! – dell’inverosimile. Qualsiasi altra famiglia e comunità avrebbero molto rapidamente provvisto all’internamento dell’interessato – o a farsi matte risate (invidiose?) sul modo escogitato per provvedere ad un altrimenti problematico appagamento erotico.
Ma tutti – a partire dalla straordinariamente brava psicologa, da augurare a chiunque avesse bisogno di quel tipo di sostegno – si rendono (quasi) subito conto della serietà del gioco in atto, tutti si adeguano e corrispondono, da indurre a pensare alla seconda parte del film “La vita è meravigliosa” di Frank Capra. Ma appunto, nel nostro film manca la prima necessaria parte. Si parla, a spiegazione dei problemi di Lars, della mamma morta di parto alla sua nascita, del papà caduto in depressione, del fratello maggiore scappato per la frustrazione a gambe levate. Ma per come paradisiacamente ora si comportano fratello e moglie e l’intera comunità nel film, perché il film fosse credibile ci sarebbe stato bisogno del dramma del conflitto, di terribili cattivi all’opera. Di ciò nel film non c’è traccia. La comunità messa in scena è una comunità di angeli felici che solo angeli felici può generare. E’ un caso che la recensione del film apparsa su Il Foglio di Ferrara chiuda i suoi sperticati elogi dichiarando che quella comunità raccolta la domenica in chiesa attorno al suo pastore fa venire voglia di andarci ad abitare e a vivere? Ma sarà poi quella realtà rappresentativa della profonda provincia americana? Che Gus Van Sant e Michael Moore si siano inventati Columbine di sana pianta? Il messaggio del film – per salvare un membro in difficoltà tutti devono fare la loro parte, la pecorella smarrita merita l’impegno totale del buon pastore, ecc. – è interessante e condivisibile, non c’è dubbio. Ma così come è proposto rimane a livello di fiaba: benissimo girata e prodigiosamente interpretata, ma sempre fiaba.
La comunità reale con cui oggi dobbiamo fare i conti è purtroppo quella del bottegaio, del farmacista, del padroncino leghista che predicano fucili – per carità, del tutto simbolici! –, pulizia contro gli zingari e ronde armate. Per poi – oplà! - trovarci in presenza di ragazzotti naziskin che si inventano il pretesto della sigaretta negata per scaricare sul primo che capita la violenza della quale - prima, dalla loro stessa comunità - sono stati caricati a molla.
L’americano Lars e una ragazza tutta sua, o i ragazzi veronesi e una vittima predestinata tutta per loro?
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