martedì 13 maggio 2008

A volte succede

A volte succede – purtroppo sempre più di rado – che la lettura di un romanzo coinvolga e catturi a tal punto che interromperla per qualche non rinviabile incombenza suona quasi iattura. E’ la prima osservazione che mi viene a proposito de La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano. Questo almeno è successo a me, e mi proverò a spiegare il perché.

Intanto, e innanzitutto, perché le vicende raccontate riguardano stagioni della vita – infanzia, adolescenza, prima giovinezza dentro la famiglia, la scuola e i gruppi di amicizia - che costituiscono esperienza universale. Il libro appartiene infatti al novero dei romanzi di formazione, perché mette in scena cosa succede a un individuo che, senza averlo chiesto né essere stato preventivamente consultato, approda a quel nucleo famigliare, in quel particolare contesto sociale; come reagisce e interagisce – si adatta e/o si oppone - con gli individui, i ruoli, le attese; come affronta e supera, o meno, i gradini – a volte molto impegnativi - di un percorso e di un destino già in larga misura definiti.

Obblighi e responsabilità, regole tacite o esplicite, avversioni e complicità, amicizie e inimicizie, solitudini e inadeguatezze, esclusioni e crudeltà, senso di appartenenza o di irriducibile estraneità, tutto costituisce trama e tessitura di un percorso da tutti sperimentato, fatto di impennate ripide e curve tortuose, improvvise e riposanti discese, di ostacoli e piazzole di sosta - fino a quella finale e definitiva.

Questo non costituisce in letteratura particolare novità: cimento, piuttosto, per ogni romanziere che si rispetti. In che cosa Giordano, alla sua opera prima e all’età di 26 anni, esce benissimo dalla prova? Nel fatto che si coglie fin dalle prime pagine che la sua voce, la sua scrittura, sono animate da una autenticità vera. Le vicende e le vite dei protagonisti sprigionano un carattere di necessità che si percepisce forte innanzitutto nell’autore stesso: prerequisito, questo, perché esse possano suonare vive e persuasive per chi legge, e non frutto di artificio studiato a tavolino. Pur non raccontando di sé in prima persona, si sente che l’autore è pienamente partecipe e coinvolto nei fatti che racconta, essendo però anche capace di porre tra sé e la materia incandescente, in qualche modo sicuramente sperimentata, il distacco che gli consente di dominarla fino a farle raggiungere la forma necessaria.

Lo stato di grazia cui attinge il racconto si trasmette alchemicamente a noi che leggiamo, consentendoci di cogliere il dato di verità delle figure protagoniste, di riconoscerci nella peculiarità unica e irripetibile delle loro storie.

Il 26enne Paolo Giordano ha capito, e nel libro perfettamente reso, che vivere è fare i conti con l’ambivalenza irriducibile dei sentimenti, con l’enigmaticità di incontri a volte felici, più spesso infelici, che attenuano una condizione di solitudine costitutiva, o la sigillano definitivamente.

Un’altra delle componenti che l’autore mette in luce è la casualità che determina gran parte dei nostri percorsi. Meglio ancora: quanto sia confuso e sottile il confine, e instabile l’equilibrio, nel gioco dell’incontro e scontro tra volontà soggettive. E quanto basti a volte un sospiro inavvertitamente emesso, un sorriso mancato, uno sguardo non controllato, una parola di troppo - o proprio quella necessaria scioccamente omessa - a determinare conseguenze irreparabili.

Noi – suggerisce “La solitudine dei numeri primi” - siamo in balia di pulsioni e forze che scarsamente conosciamo, comunque non controlliamo, o ci illudiamo di riuscire a dominare. Ci culliamo nell’illusione che bastino le belle intenzioni, i buoni consigli, i piccoli rituali rassicuranti per uscirne indenni. Ci troviamo, inaspettatamente e all’improvviso, ad affrontare drammi determinati da una catena di interazioni che viltà e debolezza, impreparazione, superficialità e impotenza il più delle volte ci impediscono di capire e affrontare in tempo.

Il libro di Giordano non è, beninteso, a tesi, non pretende di dimostrare o per forza convincere. È un libro non ribollente di effettacci e luci o gridato, è anzi soffuso di un pathos malinconico e discreto – e per questo particolarmente efficace. La luce spiovente e laterale che lo illumina è quella della comprensione e compassione per le vite e le storie che mette in scena. E’ anche duro e crudele, nel senso che non è furbescamente consolatorio, non finge né abbellisce per fare meno pensare e soffrire. Guardate che la vita è questa qui, dicono le pagine del racconto. E’ una fiaba che improvvisamente si spezza e vi può anche spezzare, un sogno che può all’improvviso tramutarsi in un incubo.

Nella vita delle buone famiglie e della migliore società drammi e tragedie arrivano di soppiatto, quasi imprevisti e a seguito di scelte e comportamenti animati dalle migliori intenzioni. Ed è dura, specialmente per bambini e ragazzini, riuscire a raccapezzarsi e sopravvivere con il cumulo di disamore e rancore pregresso in cui si imbattono. E là dove per fortuna e in qualche modo ce la fanno, lo strascico di traumi, fratture e ferite è terribile e doloroso.

Nel libro, Paolo Giordano ha infuso - facendone partecipe in qualche misura, quasi per magia e incantesimo, il lettore - la sua capacità di sguardo profondo, dandoci così in regalo i benefici di cui può essere capace il miracolo della scrittura. Che questo venga dall’opera prima di un autore così giovane aggiunge ammirazione e fiducia per quello di cui si sa dimostrarsi capace la vita.

Questo è un libro che a me ha fatto ricordare la capacità di empatia e l’afflato creaturale della Morante, il teatro della crudeltà di Artaud, la cronaca intensa, esatta e desolata delle prime esperienze omosessuali clandestine di Edmund White, lo stupore nel raccontare il mondo, colto così com’ è, dallo sguardo crudele e divertito del giovane Holden.

Questo è un libro che non ha padrini né mallevadori e, nato da sé e impostosi in virtù della sua sola forza, non deve nulla ad alcuna congrega o scuola. Per questo nelle accademie e nelle piccole cricche letterarie il suo successo sta suscitando inquietudine e allarme come succede ai pipistrelli in una grotta invasa da una accecante luce improvvisa.

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Meltemi Editore 2009