martedì 30 giugno 2009

Mi arrivano segnali

[di Francesco Pettarin, fondatore di Massenzio Cinema]

Mi arrivano segnali.
Per le strade di Roma i manifesti annunciano che il 21 giugno torna l’Estate Romana.
Un sms mi annuncia che Alex Voglino, direttore del dipartimento delle politiche culturali del comune di Roma, nel corso della conferenza stampa di presentazione dell’ Estate Romana, lamenta la mancanza di Massenzio.
Andrea Garibaldi sul Corriere della Sera in un articolo in cui, dopo aver riconosciuto la ricchezza delle proposte della nuova edizione dell’Estate Romana, solleva un timido “tuttavia” rispetto alla mancanza di originalità della proposta.
Sempre nello stesso articolo Andrea Garibaldi mi cita, o meglio cita quello che il Secolo D’Italia di circa un anno fa ha riportato di quanto detto da me che, alla richiesta dell’ Assessore alle politiche culturali del comune di Roma Umberto Croppi rivolta ad intellettuali e operatori del settore di contribuire con suggerimenti al rinnovamento dell’intervento del Comune nella cultura, rispondevo, in tono provocatorio, che mi sarebbe piaciuto confrontarmi con una proposta di segno forte che indirizzasse in qualche modo la riflessione, il che nella semplificazione giornalistica è diventato un “fai qualcosa di destra”.

L’ Assessore alle politiche culturali del comune di Roma, Umberto Croppi, rispondendo ad Andrea Garibaldi, afferma di non essere un esperto di topografia e di avere problemi a dislocare le azioni nell’asse destra-sinistra.
Nella stessa risposta l’Assessore Croppi fa due affermazioni, la prima che quello che sta tentando di fare è riportare Roma nei circuiti internazionali della cultura e dell’arte; la seconda che la richiesta di Garibaldi di originalità corrisponde alla richiesta di “linea politica” di guareschiana memoria.
La prima tentazione è di accarezzare uno dei miei numerosi gatti e di liquidare il tutto come l’ennesimo esempio dell’ egocentrismo e della prepotenza che caratterizza politici e amministratori nell’epoca della televisione, per cui tutto ciò che esiste in qualche modo appartiene loro (tanto non esiste memoria) ed ogni, non dico critica, ma semplice dubbio diventa una faziosa e pregiudiziale volontà di disturbare chi lavora per il bene della città, della regione, del paese.
Magari avrei anche potuto con gli amici condire tale disincantato giudizio di un paio di battute liquidatorie sulla ovvietà delle affermazioni sul calendario da parte dei nostri amministratori o sulla necessità di avvertire i vigili urbani ogni volta che il nostro Assessore si mette al volante. Del resto non ho interessi da difendere e credo di essermi guadagnato fama di onestà intellettuale in più di trenta anni di “carriera” nell’organizzazione di eventi culturali in questa città.
Ma nutro nei confronti dell’Assessore Croppi una stima pregiudiziale, motivata dal suo intervento, quasi due anni fa quando non era ancora impegnato in cariche istituzionali, alla trasmissione di “La storia siamo noi” in occasione della riedizione al Colosseo del Napoleon di Abel Gance che organizzammo per i trenta anni dell’Estate Romana. Ho quindi pensato che le sue parole meritassero un approfondimento anche perché in qualche modo riprendevano cose dette in quell’intervista e che già allora mi avevano fatto venire voglia di interloquire con lui.
Mi perdoni l’Assessore Croppi, ma lo immaginai allora, giovane di destra, girare per gli eventi dell’ Estate Romana e chiedersi perché mai dovessero portare consenso alla sinistra dal momento che trattavano contenuti che anche a lui erano cari in un modo che anche lui condivideva; a mio giudizio commise allora un errore di prospettiva e lo commette di nuovo oggi: non solo Nicolini era di sinistra (e noi tutti che lavorando intorno a lui contribuimmo a dare sostanza ad un’intuizione) ma la sua “invenzione” si inscriveva perfettamente nel dibattito che in quegli anni attraversava la cultura di sinistra che usciva dal marasma del sessantotto e che vedeva contrapposte la visione marcusian-pessimistica su modernità e capitalismo (Idra dalle cento teste, impossibile da colpire a morte e verso cui opporsi era un atto splendido ma inutile) a quella lukaccian-pedagogistica per cui la funzione della cultura era quella di far prendere coscienza al popolo e farlo schierare per la rivoluzione (nel caso specifico fargli votare Partito Comunista).
Un gruppo di giovani, direi giovanissimi intellettuali (Alberto Abruzzese era allora poco più che trentenne), cercava di coniugare l’amore per la modernità, che considerava componente essenziale del marxismo, e la critica di un sistema basato sulla discriminazione e lo sfruttamento, Walter Benjamin sembrava lo strumento adatto ad una critica del capitalismo che non gettasse il bambino (lo sviluppo tecnologico e le nuove opportunità di democrazia) insieme all’acqua sporca di un sistema fatto di privilegi e sfruttamento.
Fu del tutto naturale se non inevitabile che tale posizione si incontrasse con il lavoro che l’assessore Nicolini andava facendo a Roma per portare in superficie le molte esperienze di cultura underground presenti in città rendendole accessibili ad un pubblico di massa.
Questo non poteva che creare un forte rigetto da parte sia della sinistra tradizionale che vedeva centrale il ruolo del partito e la sua vocazione educativa nei confronti delle masse, sia in quella movimentista che considerava un tradimento ogni forma di ricerca di nuovi equilibri che non fossero il risultato di un’azione rivoluzionaria, fummo attaccati da tutti. Cederna dalle colonne del Corriere della Sera ci imputava un uso criminale dei monumenti, all’interno del partito comunista fummo accusati di non batterci per una cultura popolare che vedeva nel decentramento il suo punto di forza, Massenzio fu tacciata di mettere sullo stesso piano il grande cinema con la spazzatura proveniente da oltre oceano, Frigidaire la rivista cui facevano capo i nostri amici più legati al “movimento” organizzò addirittura una sorta di anti Estate Romana dall’eloquente titolo “Miseria”, tutto questo è però la conferma di quanto tale dibattito fosse assolutamente interno alla sinistra e di tale area politica assumesse i presupposti, le modalità, i contenuti. Gli attacchi della destra non erano nel merito, che non veniva assolutamente riconosciuto, ma sul piano della correttezza amministrativa o su quello della moralità e del disturbo della vita cittadina.
Effimero e riscoperta del centro storico i mezzi, svecchiamento delle pratiche cittadine e rilancio dei consumi culturali gli obiettivi. Ma sopra tutto una cornice inequivocabilmente di sinistra: il diritto per tutti di godere di spazi ed azioni fino ad allora riservate ad élite.
Con il tempo le punte più aspre della polemica si andarono assottigliando, la sinistra comprese l’enorme potenziale di creazione di consenso che le manifestazioni estive rappresentavano, tanto da inventare una ragione compatibile con il proprio apparato: gli anni di piombo avevano chiuso in casa la gente che con l’Estate nicoliniana ritrovava luoghi di aggregazione (quanto sempre odiosa ci è stata questa etichetta buttataci addosso!), anche la destra smorzò le polemiche soprattutto là dove il consenso era così alto da rappresentare un sicuro lasciapassare per il cuore dei politici.
Non a caso un attento critico vicino alle nostre posizioni Guglielmo Pepe scrisse nel 1982 un articolo dal titolo “Le rughe dell’Estate Romana” in cui coglieva nell’eccesso di pubblica accettazione uno dei sintomi di una politica culturale che cominciava a mostrare segni di stanchezza. In effetti l’Estate Romana aveva finito di essere di sinistra era diventata patrimonio cittadino, era di tutti, a farla gruppi eterogenei per provenienza politica e culturale, vincoli di ogni tipo rendevano la scelta dei luoghi quasi obbligata, restava la grande funzione di servizio alla città.
Mi scuso per la lunga parentesi di ricordi ma credo che per capire il senso di quanto dirò non fosse evitabile.
Da troppo tempo la nostra città non vive una stagione di rinnovamento culturale, i grandi concerti gratuiti della giunta Veltroni e la stessa Notte Bianca hanno segnato un’epoca più rivolta al passato che a cogliere gli umori delle generazioni che stanno crescendo,
La correttezza amministrativa e il consenso generalizzato hanno preso il posto della volontà di rinnovamento di quel salutare fare scandalo che dovrebbe sempre caratterizzare le proposte culturali innovatrici, la mia impressione che l’amministrazione di sinistra avesse eccessivamente identificato se stessa, i propri umori, le proprie priorità con quelle dell’intera città perdendo di vista il conflitto, la contrapposizione anche forte che sono la linfa vitale della democrazia, soprattutto culturale, insomma la spiacevole sensazione che la politica avesse fatto un passo indietro e che a fare l’Estate Romana fossero gli uffici, che da mezzo di operatività diventavano operatori essi stessi, l’odioso smeccanismo per far funzionare tutto ciò il bando per le attività culturali, finto strumento di democrazia che serve solo a rendere praticabile la logica burocratica.
In realtà se vogliamo la mancanza di coraggio è stata non usare a fondo il grande elemento di innovazione culturale che il sindaco Veltroni e l’assessore Borgna si erano dati le “case”, del jazz, dei teatri, del cinema, l’auditorium come casa della musica, l’uscita cioè dall’effimero con un sistema di rete in cui ogni nodo diventa anche motore propulsore per gli altri e per quelle realtà che per fortuna dal sistema vogliono e debbono restare fuori.
La sconfitta del centro sinistra e il cambio della giunta non sono state sicuramente dettate da questo, ma altrettanto sicuramente ci trovavamo di fronte ad un nodo che andava interpretato.
In una buona democrazia l’alternanza è salutare, il nemico non viene più demonizzato, non si pensa più che non faranno prigionieri.
Dal cambiamento anche se ci penalizza possono in ogni caso venire elementi positivi.
Un portato positivo che credevo sarebbe seguito alla nostra sconfitta era che il nuovo assessore non avrebbe esitato ed eliminare la Festa del Cinema, contro cui la destra tanto si era scagliata in campagna elettorale, e finalmente l’Estate Romana.
Non solo, speravo che l’assessore Croppi desse un segno forte, non di tipo contenutistico ma di sistema alla nuova politica culturale, rispetto al quale noi, operatori culturali di sinistra, ci saremmo in qualche modo confrontati per renderla non più la proposta dell’assessore Croppi ma un patrimonio di tutta la città. Questo non è avvenuto. Non solo mi trovo di fronte ad un cartellone dell’Estate Romana che trasuda, credo e spero non volute, logica spartitoria e normalità burocratica da tutti i pori, ma l’Assessore per difenderlo invoca efficienza e spirito ecumenico.
Non credo sia sostenibile, come l’Assessore lascia intendere, che Roma fosse fuori dai grandi circuiti internazionali dell’Arte e della Cultura, anzi direi che la debolezza di questa Estate Romana, perfettamente riproposta nella nuova edizione sia l’essere tutta interna alle logiche di circuito per cui la città finisce per essere semplice tappa del giro di artisti e mostre e festival, nati altrove e qui riportati senza alcun valore aggiunto.
Eliminiamo questa Estate Romana che da simbolo di coraggiosa volontà rinnovatrice si è trasformata in meccanismo di normalizzazione burocratica e di logica spartitoria.
D’altra parte il luogo dell’Estate Romana nella sua stagione d’oro è stato il territorio cittadino ed il suo strumento l’effimero architettonico, oggi la cultura vive sempre più di rete e spazi virtuali.

2 commenti:

Albero Abruzzese

[1^ parte]
Curioso: c’è chi è tentato di discutere sulle strategie dell’Estate Romana 2009, mentre invece nessuno si prova a informare davvero su cosa sia cambiato o cambi passando dalle amministrazioni di Veltroni e di Rutelli a quella di Alemanno. Cosa sta avvenendo nei meccanismi clientelari che caratterizzano la distribuzione delle risorse da parte di chi governa la città? Dico subito che trovo questi meccanismi clientelari inevitabili. Dico anzi che – in un mondo migliore, più responsabile – potrebbero essere persino utili oltre che necessari. Il vero danno delle lottizzazioni e spartizioni di potere consiste infatti in forme di selezione culturale che, invece di garantire contenuti, qualità e efficacia all’offerta di servizi collettivi per la cittadinanza, degenera in pura e semplice spartizione di favori, in arida negoziazione di interessi privati o pubblico consenso. Penso che la sinistra abbia fatto non pochi errori di questo genere (ho conosciuto nei suoi anni di governo “molti giovani di sinistra” – o anche soltanto giovani capaci di lavorare e in attesa di vivere – lasciati fuori dai cancelli di un sistema amministrativo chiuso in se stesso, spesso inutilmente dispendioso, generalmente insensibile ad apporti innovativi, e disposto semmai a soddisfare culture sterilizzate, convenzionali se non addirittura in disarmo). Da chi si picca di fare informazione democratica vorrei dunque sapere se anche la destra sta facendo gli stessi errori. Ne fa di più o di meno? Dall’esterno, i programmi dell’Estate Romana non dicono molto. Sono – e lo sono da almeno un paio di decenni – sempre la stessa marmellata…anche se il panorama degli eventi romani credo possa essere ancora invidiato da molte metropoli del mondo (e anche se per molta gente va bene così…e non è poco). Ma qui Pettarin ha ragione quando va al cuore del problema, alla sua genesi, e ci ricorda che la sinistra ha deprivato di un vero progetto culturale le molteplici “case” (del cinema, della letteratura, del jazz, eccetera) perché ideate, varate, modellate e dirette da manager quasi mai in grado o messi in grado di concepire innovazioni di contenuto invece che pura e semplice gestione della tradizione o peggio di corporazioni e clientele cortigiane. E’ allora che si è persa l’occasione per distinguere una autentica strategia di ricerca espressiva da una onesta politica di servizio per il tempo libero di chi resta nella Capitale o vi fa il visitatore di passaggio.
Dunque, si è arriva a dire: Nicolini inventò un evento trasgressivo, innovativo, in grado di “fare scuola”, perché mai un assessore reclutato dalla destra non dovrebbe essere capace di fare altrettanto? Bella domanda. Prima di commentarla, tuttavia, mi farei altre domande: perché la sinistra di allora ha tanto polemizzato con l’effimero degli eventi nicoliniani vedendoli come deviazione culturale, trionfo dei consumi e delle mode, del disimpegno e della cultura bassa, di massa e non popolare? Vero: fu una piccola fronda della sinistra a sapere esprimere un salto di qualità, certo, ma i partiti del centro-sinistra non hanno mai ritenuto di doverne trarre strumenti utili a governare: il buonismo veltroniano o il cattivismo dalemiano o il senso comune prodiano non hanno nulla a che vedere con i contenuti innovativi espressi allora dall’effimero.

Alberto Abruzzese

[2^ parte]
Fu un salto teorico di portata internazionale e nasceva da una nicchia del pensiero più marxiano che italiano. Ma su quei contenuti non sono mai venuti a confronto intellettuali di regime come Umberto Eco, Furio Colombo, Claudio Magris e via così. Quindi una risposta c’è: quanti allora lavorarono per e con Nicolini – compreso lo stesso Nicolini (certo intellettuale eccentrico e creativo ma pur sempre meno scandaloso, a sentirlo ora, di quanto lo si immaginasse allora) – sono scomparsi dalle agende in cui la rinnovata sinistra di Veltroni e Rutelli è andata a cercare collaboratori e contenuti, consulenti e strategie. Con Veltroni al potere – e mentre figure di compromesso post-sessantottino come Mieli e Riotta scattavano ai vertici dell’informazione – ha avuto inizio l’eccidio post-comunista di una fetta generazionale di professionisti non allineati al conformismo rampante. Eppure si trattava di una sinistra certamente assai meno bigotta e ottusa del vecchio ideologismo istituzionale delle organizzazioni di partito e di movimento di impronta comunista (quando a governare la cultura di partito erano le astrazioni estreme o estreme compromissioni di dirigenti quali Tortorella e Napolitano).
A caldo, devo dire che – mancando per mia colpa o colpa dell’informazione di notizie più circostanziate su come sia andata la gestazione e realizzazione della attuale Estate Romana – sono tentato di essere d’accordo con l’assessore Croppi. Vale a dire che, magari non mi hanno interamente convinto le sue risposte, ma di certo c’è qualcosa di sospetto nel chiedere ad una amministrazione di destra che faccia una politica innovativa di destra (a meno che – e non escludo che proprio questo abbia in testa Pettarin, di cui stimo da sempre la dedizione di operatore culturale sul territorio – non si ritenga possibile un pensiero di destra radicalmente rinnovato nei suoi fini esattamente come molti di noi si ostinano ad attendere altrettanto dal pensiero di sinistra).
Penso che destra e sinistra – pur essendo ideologie o stati d’animo o nevrosi o interessi ancora in grado di dilaniare la nostra vita civile – siano ormai delle corbellerie sul piano dei contenuti espressivi, simbolici, umani (anche se sono tutt’altro che corbellerie sul piano degli interessi personali, dei destini professionali, delle dinamiche di gruppo, della macchina parlamentare, delle carriere pubbliche e private; e via dicendo).
La polemica mi pare essere partita male. Tuttavia possiamo piegare in una diversa direzione persino l’idea di un confronto tra destra e sinistra dedicato all’innovazione di cui certamente ha bisogno la vita culturale di una Capitale come Roma. Per me, trovare un luogo in cui discutere tra destra e sinistra significa trovare i modi per verificare se – al di là di tradizioni culturali e sociali opposte: tante e spesso inconciliabili tra loro anche e forse ancor più al proprio interno – esiste nell’aria una qualche volontà comune di uscire dai rapporti di forza dietro i quali in tutti questi anni si sono nascosti, armati o messi al riparo, sia quelli che comandano sia quelli che, in attesa di comandare, si oppongono. Già sarebbe qualcosa, ad esempio, incontrarsi tra diversi per piegare il nostro discorso in una direzione opposta a quella che istituzioni e partiti ci hanno imposto. Già sarebbe qualcosa ragionare nella logica di una società dei consumi e di mercato invece che di una società autoritaria. Di un capitale interiore, fatto di carne e sangue, desiderio e violenza, invece che di un capitale economico-politico. Meglio: di una dimensione di mercato dei bisogni invece che di mercato dei politici e degli elettori. Una proposta tematica come questa – pensateci (che ne dice l’amico Croppi?) – sarebbe in grado di scandalizzare sia la destra che la sinistra… Sarebbe un buon inizio, cioè una buona fine!

Meltemi Editore 2009